CHARLES BRADLEY, ON THE ROAD AGAIN
” Calling out around the world, are you ready for a brand new beat ” – cantavano Martha & The Vandellas – ” the time is right for dancing in the street “.
Già, la migliore musica Rock, Soul, Rythm&Blues, viene dalla strada, ne cattura la genuina ispirazione e diventa poi fenomeno di massa e di costume.
E il bello è che può portare ovunque, basta salire su quel treno, non c’è biglietto nè destinazione.
” We’re on a road to nowhere, come on inside “. Come cantavano i Talking Heads.
E da nessuna parte sembrava andare l’esistenza precaria di Charles Bradley, sessantenne di Brooklyn, dotato di una voce d’oro sin dagli anni dell’adolescenza, folgorato da un esibizione di James Brown all’Apollo Theatre di Harlem nel 1962.
Qualcuno gli disse: Assomigli proprio a Mr. Dynamite! Facci sentire come canti!
E lui superò la timidezza, formando un gruppo e cominciando ad esibirsi nei locali di Brooklyn. Poi venne la guerra del Vietnam, alcuni strumentisti vennero chiamati e il gruppo si sciolse. Bradley ne fu devastato, scappò dalla città raggiunse in autostop la California dove trovò impiego come cuoco.
Quando fece ritorno a Brooklyn, alla fine degli anni novanta, dormì in strada con i senzatetto e nei vagoni della metropolitana, ricucendo pian piano le ferite della sua esistenza e riformando il gruppo, che chiamò Black Velvet.
Una sera di un paio di anni fa, fu notato in concerto da Gabriel Roth, boss della Daptone Records, etichetta di Soul americano, che lo trascinò in studio di registrazione. Lo scorso anno è uscito l’album ‘ No Time For Dreaming ‘. Il resto è storia.
Un altro esempio di vita musicale sulla strada sono i Black Keys, duo di Akron Ohio, che fanno un rock semplice e orecchiabile, legato agli anni sessanta. Sono partiti dai piccoli club di provincia e ora riempiono le arene delle metropoli. Caricano i loro strumenti sui Van, come agli inizi. Hanno intitolato l’ultimo album El Camino, ovvero il viaggio, con in copertina il Truck che usano per muoversi da una città all’altra, da un concerto all’altro.
In Italia, esemplare la storia di Gianmaria Testa, cantautore cuneese, figlio di contadini, autodidatta alla chitarra e al piano. Cresciuto col mito di Paolo Conte e Leonard Cohen si e’ definito un viaggiatore immobile.
” Sono figlio di contadini e ho trascorso buona parte della mia infanzia nel cortile della cascina, a immaginarmi i viaggi. Poi sono entrato in ferrovia come capostazione e ho visto gli altri viaggiare, ma io stavo ancora fermo. In fondo il viaggio più bello rimane quello immaginario. ” Come Emilio Salgari, che scriveva di pirati senza mai essere uscito dalla propria cameretta, Testa ha viaggiato con la musica, diventando grande chansonnier e conquistandosi la platea dell’Olympia di Parigi.
Nemo propheta in patria.
Ha seguito invece il percorso inverso Sergio Caputo, – chi non ricorda Sabato Italiano e Il Garibaldi Innamorato? – dai successi giovanili degli anni ottanta ad una placida e sotterranea vita ‘ on the road ‘ nella sua mezza età. Ora si esibisce come Sergio Caputo Quintet, mischiando sempre jazz e sonorità latine, non ha più etichetta discografica, vende solo su ITunes e CD ai propri concerti. Si divide tra l’Italia e San Francisco, dove evidentemente si è innamorato dello stile di vita di frontiera, lontano dal clamore delle folle e dalle pressioni dell’industria discografica.
Chi proprio dalla zona di San Francisco era partita, col suo aspetto ferito e il suo lamento Blues, è un icona della vita di strada mischiata all’arte. Janis Joplin, nella sua troppo breve esistenza, ha davvero forgiato uno stile che comunicava l’essenza stessa della disperazione di chi si trova emarginato, abbandonato, lasciato lì a morire.
In questi giorni esce la ristampa rimasterizzata di Pearl, il suo capolavoro, uscito postumo dopo la sua morte avvenuta per overdose il 4 ottobre 1970.
E che dire di Mr. Bob Dylan, colui che ha tradotto la poesia in musica, ultrasettantenne che ancora suona qualcosa come duecento concerti l’anno?
Non è un caso che il suo spettacolo si chiami Never Ending Tour, sempre sulla strada, ora come allora, a stravolgere classici come Blowin In The Wind e Like A Rolling Stone, per dissacrare il suo mito e rimanere Forever Young.